Clemente Rebora
Milano, 1885 - Stresa, 1957
Vita e opere
Nacque a Milano il 6 gennaio 1885 in una famiglia di tradizione illuministico risorgimentale. Battezzato senza convinzione dai genitori, non ricevette poi alcuna formazione religiosa. Dopo aver frequentato il liceo milanese “Parini”, si iscrisse alla facoltà di Medicina di Pavia, che abbandonò presto per l’“Accademia Scientifico-Letteraria” di Milano; qui si legò a D. Malaguzzi, A. Monteverdi e A. Banfi, con i quali condivideva gli ideali illuministici già appresi in famiglia e la passione per la letteratura, la filosofia e la musica, ma dai quali si discostava per un nascente conflitto interiore che lo spingeva verso orizzonti culturali e spirituali diversi. Sotto la guida di Gioacchino Volpe, dedicò la tesi di laurea a G.D. Romagnosi, ma al padre scrisse: «Io sto con Buddha Cristo Dante Bruno […] Vico Alfieri e Leopardi» (22 ottobre 1909), manifestando quindi interesse per nuovi maestri.
Dopo la laurea (1910), si dedicò per diversi anni all’insegnamento nelle scuole tecniche di Milano, Treviglio e Novara. Nel frattempo andava nascendo la sua prima raccolta poetica, i Frammenti lirici, che furono editi nel 1913 dalla “Libreria della Voce”. Negli anni seguenti intraprese una relazione sentimentale con la pianista russa Lydia Natus e si trovò a dover affrontare l’esperienza drammatica della Grande Guerra, durante la quale combatté sul Podgora, dove, nel dicembre del 1915, venne colpito dallo scoppio di un obice che lo lasciò provato soprattutto psicologicamente. Ebbe inizio così un periodo di disperato travaglio interiore, culminato con il ricovero in un ospedale psichiatrico.
Gli anni successivi al conflitto furono dedicati alla stesura di poesie e prose sull’esperienza della guerra, alle traduzioni dal russo (Lazzaro e altre novelle di Andreev, La felicità domestica di Tolstoj, Il cappotto di Gogol’), alla pubblicazione dei Canti anonimi (1922) e, chiusa la relazione con Lydia Natus, ad una sempre più intensa ricerca spirituale. Prima si infiammò per le idee dell’indiano Tagore e riscoprì il mazzinianesimo paterno, poi si avvicinò al cattolicesimo, soprattutto mediante le donne del “Gruppo d’Azione per le Scuole del Popolo”, in particolare le sorelle Coari ed Ezilde Carletti, che erano strettamente legate anche all’ambiente rosminiano.
Durante una conferenza tenuta nell’ottobre del 1928, mentre leggeva dagli Atti dei martiri scillitani, rimase privo di parola e dovette abbandonare la sala («ed ecco mi prese una commozione tale che non potei più proseguire e a stento non scoppiai in singhiozzi palesi. Il pubblico attonito – data la mia cosiddetta ‘facoltà di parola’ – stette in un silenzio solenne, per parecchi minuti. In fine io mi levai come folgorato di pianto»: così egli stesso avrebbe ricordato). Fu l'inizio del suo definitivo approdo alla fede cattolica, a seguito del quale, guidato dal Card. Schuster, ricevette i sacramenti. Maturò quindi l’idea di divenire sacerdote e, per compiere un periodo di riflessione, fu accolto a Stresa dal rosminiano p. G. Bozzetti. Nel 1931, infine, fece il suo ingresso come novizio nell’Istituto della Carità, dove fu ordinato cinque anni dopo. Svolse il suo ministero principalmente a Domodossola, Rovereto e Stresa. Dopo un lungo periodo di silenzio poetico, durante il quale meditò molto sui testi di A. Rosmini, tornò lentamente a scrivere e, nel 1947, nella raccolta Le poesie, comparvero le sue prime Poesie religiose. Seguirono gli Inni (1953-1956) e, infine, dal letto dell’infermità, in cui fu costretto negli ultimi anni della sua vita, nacquero il Curriculum vitae (1955) e i Canti dell’infermità (1956-1957). Morì a Stresa il 1° novembre 1957.
Il pensiero filosofico-religioso
L’argomento della tesi di laurea, dedicata a Linee e aspetti dell’insegnamento civile di G.D. Romagnosi, rispecchiava l’ambiente in cui Rebora fu educato, cioè l’illuminismo risorgimentale: il padre Enrico, già volontario garibaldino a Mentana, era infatti un fervente mazziniano e affiliato alla massoneria. Ben presto, però, idealismo e razionalismo iniziarono ad andare stretti al giovane Clemente, tanto che, già durante le ricerche su Romagnosi, maturò un profondo disagio interiore. Lo “storicismo idealista” a cui era approdato sommando al pensiero di Romagnosi quello di Vico non riusciva infatti a placare la sua intima ricerca e «la documentazione di tale stato d’animo di fuga dalla realtà, che si può chiamare in senso religioso, esistenzialista, è del resto pienamente documentato dai suoi versi primi e tardi» (Rebora P., 1960, p. 85) e, particolarmente, dai Frammenti lirici (1913). Qui Rebora condivideva il «dramma della sua generazione che […] tentava il varco di un rinnovamento spirituale per opporsi, in qualche modo, al dilagante materialismo di una società e di una cultura» (Mezzasalma, p. 37), ricorrendo ai temi relativi alla tormentata condizione dell’uomo moderno: la rottura dell’armonia tra uomo e natura, da cui deriva la dicotomia città-campagna (la prima corrotta e ostile, la seconda pura e amica); il conflitto dell’io con il mondo esterno, permeato di un pragmatismo che non lascia spazio ad alcun ideale di bellezza e di poesia; la necessità di operare il bene per vincere l’aridità interiore; la tensione verso un Oltre che libera dall’angoscia. L’amicizia con P. Martinetti, che il poeta conobbe tra il 1912 e il 1913, contribuì molto ad orientare la sua ricerca verso l’idealismo trascendente e religioso e, in seguito, lo spinse ad approfondire il rapporto fede-ragione e la sapienza indiana.
Proprio a partire da quest’ultima, negli anni ’20 Rebora divenne un fervente ammiratore del poeta Tagore, tanto da progettare un trasferimento in India, per il quale si preparò studiando il Buddismo. Della nuova condizione spirituale, grazie alla quale stava riemergendo dal dramma della guerra, si sente il riflesso nei Canti anonimi (1922), dove per il poeta è ormai un imperativo bandire l’individualismo in nome del bene comune. Egli, inoltre, divenuto certo dell’esistenza di una bontà originaria e superiore, sembra intravedere una via d’uscita dalla sua personale “selva oscura”, «deve però resistere, continuando a “sbocciare non visto” e avendo fiducia nel proprio tesoro spirituale. Allora potrà aprirsi un varco al miracolo, di cui è anzi già avvertibile il promettente bisbiglio» (Mussini, 2022, p. 229).
Nonostante Rebora non abbia mai determinato tendenze nel pensiero del proprio tempo, in questi anni si impegnò molto per diffondere un messaggio morale, spinto della certezza, di matrice indiana e mazziniana, di essere chiamato ad una «grave e decisiva missione educatrice» (Epistolario, I, p. 499). Nel 1923, ad esempio, tradusse la novella teosofica Gianardana, aggiungendovi un commento in cui esponeva la sua nuova concezione della vita: alla doverosità che ogni uomo intraprenda un percorso di ascesi che conduce alla «Verità che si raggiunge in cima» si congiunge la sua ineluttabilità, poiché «questa è quella conversione religiosa verso la quale tutti si orientano necessariamente fin dalle origini; e ha per sé tempo senza tempo». Fondendo alla sapienza indiana le intuizioni di Mazzini, Rebora individuava ora come necessaria alla piena realizzazione dell’uomo una «educazione spirituale», grazie alla quale, «rinunciando alla veduta egoistica dell’esistenza […,] noi acquistiamo la veggenza della bontà universale in una comunione che ci eterna, divenendo in tal modo degni di sposare al fino il nostro Dio». In questo senso, nel 1924-1926 diresse una collana di “Libretti di Vita” che raccoglieva gli scritti spirituali dei vari popoli, per mettere «in luce quanto ci possa unire verso un affratellamento futuro anziché accentuare ciò che ribadisca la inconciliabilità delle credenze, la quale è il lato transitorio al nostro progresso a forme superiori di Vita» (Epistolario, I, p. 527). Lentamente, l’interesse per il pensiero orientale andò così affievolendosi in favore di un più fervente mazzinianesimo, del quale cercò una conciliazione con il cristianesimo, che andava nel frattempo riscoprendo. Alla fine, quest’ultimo prevalse e, nel maggio 1928, Rebora scriveva: «siamo chiamati a diventare eredi della romanità e del cattolicesimo […] a passare dalla fede pretesa o attesa alla fede incarnata e operata, dall’io a Dio in cui soltanto ci individuiamo in spirito e verità»; e ancora «io, da vent’anni ad oggi, ho sperimentato tutte le direzioni: e le ho trovate ingannevoli, fuor di quella indicata da Maria e Gesù» (Epistolario, I, p. 690). Infine, dopo la folgorazione dell’ottobre 1928, caddero anche le ultime resistenze verso la Chiesa di Roma, che erano dovute alle origini familiari, e Rebora accettò l’ortodossia cattolica. Tale approdo non pose però fine al suo tormento interiore: egli, infatti, sentiva di avere intrapreso un nuovo cammino spirituale, che aveva come meta, non l’antica “forma superiore di Vita”, ma la santità.
Maturata la decisione di diventare sacerdote, entrò quindi nell’Istituto della Carità fondato da A. Rosmini. Anche se nell’ordine non ricoprì mai incarichi di particolare prestigio, egli contribuì in vari modi, specialmente con articoli su «Charitas», alla diffusione del pensiero del Roveretano, del quale «rimedit[ò] tutta la spiritualità» (Guglielminetti, 1996, p. 1). Fin da subito, in particolare, sentì l’esigenza di individuare il segreto della santità di Rosmini e ne indagò la «vita interiore», caratterizzata dal desiderio di uniformarsi unicamente ed infinitamente alla volontà di Dio, riconoscendola come l’elemento fondativo anche delle caratteristiche dell’Istituto della Carità e dei princìpi dell’ascetica rosminiana.
Contestualmente, Rebora si sentì spinto all’elaborazione di nuove liriche, dalle quali si evincono i tratti caratteristici dell’ultimo suo pensiero filosofico-religioso, ora saldamente fondato nella fede in Cristo e nella spiritualità di Rosmini. Dagli Inni (1953-1956) emerge, così, la particolare devozione del poeta alla Croce, al Sangue Prezioso di Gesù e a Maria, mentre l’agostiniano Curriculum vitae (1955), dove il convertito elenca i propri passati errori intellettuali, mostra la certezza reboriana che Dio è stato costantemente ma misteriosamente presente nella sua vita (anche quando da giovane «saggezza da ogni stirpe affastellava, a eluder la Sapienza»), unita alla radicalità del suo amore per Cristo, da cui sgorga impetuosa l’aspirazione a donare «ogni atomo» di se stesso. Con i Canti dell’infermità (1956 e 1957), dove il tema centrale è la sofferenza fisica, si toccano, infine, le vette della mistica e, cristianamente rinnovate, tornano istanze da sempre presenti nel poeta. Attraverso la lenta e dolorosa consumazione del proprio corpo, infatti, Rebora sente di raggiungere finalmente l’annichilimento del proprio io, concepito fin dai tempi dei Canti anonimi come passaggio necessario per fare posto a Dio. Così, nella sua “notte oscura”, invoca «la grazia di patir, morire oscuro polverizzato nell’amor di Cristo» e, in unione a quello del Crocifisso, offre il proprio sacrificio, nella speranza di «far da concime sotto la sua Vigna»: desideri che costituiscono «l’esito di un carattere profondo della personalità reboriana, vero tòpos della sua anima» (Mussini, 2001, p. 39).
Elisa Manni
Biblio-sitografia
Opere principali
- Giandomenico Romagnosi nel pensiero del risorgimento, in “Rivista d’Italia”, ottobre 1911, pp. 808-840; è presente anche in diverse raccolte postume, ad esempio in Poesie, Prose e Traduzioni, a cura di A. Dei, Milano 2015, (I Meridiani), pp. 487-530.
- Frammenti lirici, Firenze 1913; ed. commentata a cura di G. Mussini e M. Giancotti, Novara 2018.
- Canti anonimi raccolti da Clemente Rebora, Milano 1922; ed. commentata a cura di G. Mussini, Novara 2022.
- Gianardiana, versione e note di Clemente Rebora, illustrazioni e fregi di Alberto Salietti, Milano s.d. [ma 1922]. Successivamente: Colui che ci esaudisce o Gianarda [con un cenno, note e l’aggiunta di un Commento di Clemente Rebora e senza le illustrazioni], Milano 1923; ora anche in Poesie, Prose e Traduzioni, cit., pp. 949-1031.
- Le poesie (1913-1947), a cura di P. Rebora, Firenze 1947.
- Curriculum vitae, Milano 1955; ed. commentata a cura di R. Cicala e G. Mussini, Novara 2001;
- Canti dell’infermità, Milano 1956; Canti dell’infermità, raccolti da V. Scheiwiller, Milano 1957; ora anche in Poesie, Prose e Traduzioni, cit., pp. 305-382.
- Le poesie (1913-1953), a cura di V. Scheiwiller, Milano 1961.
- Rosmini. Tutti gli scritti «rosminiani». L’incontro del poeta milanese con il filosofo roveretano, a cura di A. Vale, con presentazione di M. Guglieminetti, Rovereto 1996.
- Scritti spirituali, a cura di C. Giovannini, Stresa 2000.
- Epistolario a cura di C. Giovannini, Bologna (vol. I 2005, vol. II, 2008, vol. III 2010).
- Diario intimo: quaderno inedito, a cura di R. Cicala e V. Rossi, Novara 2006.
- Tra melma e sangue. Lettere e poesie di guerra, a cura di V. Rossi, Novara 2008.
- Frammenti di un libro sulla guerra, a cura di M. Giancotti, Genova 2009.
- Poesie, Prose e Traduzioni, a cura di A. Dei, Milano 2015 (I Meridiani).
Scritti sull'autore e il suo pensiero religioso
- AA.VV., Passione di Clemente Maria Rebora, testimoniane rosminiane e poesie, Novara 1993.
- AA.VV., Bellezza, filosofia, poesia. Nel 50° della morte di Clemente Rebora, Stresa 2008.
- AA.VV., Clemente Rebora. Un poeta cristiano di fronte alla modernità, Panzano in Chianti 2011. Citato nella presente voce enciclopedica: Mezzasalma C., Nel suo ritorno l’umano destino. Clemente Rebora e il travaglio letterario degli inizi del Novecento.
- Beschin G., De Santi G., Grandesso E. (a cura di), Clemente Rebora nella cultura italiana ed europea, Roma 1993.
- Centofanti F., Il segreto del poeta. Clemente Rebora: la santità che compie il canto. L’immagine interiore dagli appunti sul messale, Milano 1987.
- Cicala R., Da eterna poesia. Un poeta sulle orme di Dante: Clemente Rebora, Bologna 2021.
- Cicala R., Langella G. (a cura di), A verità condusse poesia. Per una rilettura di Clemente Rebora, Novara 2008.
- Cicala R., Muratore U. (a cura di), Poesia e spiritualità in Clemente Rebora, Novara 1993.
- Colangelo G., De Santi G. (a cura di), L’ultimo Rebora 1954-1957, Venezia 2008.
- D’Angelo F., La grande guerra di Clemente. Itinerarium Poësis in Deum, Roma 2017.
- Giovannini C., Clemente Rebora. La Parola zittì chiacchiere mie, Stresa 2013.
- Lollo R., “La scelta tremenda”. Santità e poesia nell’itinerario spirituale di Clemente Rebora, Milano 1967.
- Manni E. (a cura di), Fuori dall’ombra. Voci su Clemente Rebora Milano-Udine 2018.
- Manni E., Il “nunc” di Rebora e Rosmini: gli appunti inediti del poeta sulla “sesta massima di perfezione”, in Bellelli F. (a cura di), Il divino nell’uomo e l’umano nella rivelazione, Milano-Udine 2017, pp. 165-184.
- Manni E., Rebora e l’Epistolario ascetico di Rosmini. Postille inedite sulla «Vita interiore del Padre fondatore», Stresa 2016.
- Manni E., Un ritratto in versi. Antonio Rosmini nella poesia di Clemente Rebora, «Rosmini Studies», 2018, pp. 315-324.
- Marchione M., L’imagine tesa. La vita e l’opera di Clemente Rebora, Roma 1960.
- Muratore U. (a cura di), Clemente Rebora tra laicità e religione, Stresa 2007.
- Muratore U., Clemente Rebora, testimone controcorrente del nichilismo contemporaneo, in «Microprovincia», 38, 2000, pp. 40-53.
- Muratore U., Clemente Rebora. Santità soltanto compie il canto, Cinisello Balsamo 1997.
- Mussini G., Clemente Rebora e Carlo Michelstaedter: rapporti interpretativi, in Alessio F., Stella A., In ricordo di Cesare Angelini. Studi di letteratura e filologia, Milano 1979, pp. 333-335.
- Nardin V., La sapienza della Croce nella maturazione culturale e spirituale di Rebora, in «Microprovincia», 38, 2000, pp. 193-203.
- Pangallo M., Rosmini e Rebora. Armonia di pensieri e parole, Verona 2008.
- Rebora P., Clemente Rebora e la sua prima formazione esistenzialista, in Amici di Don Clemente Rebora (a cura di), Clemente Rebora, Milano 1960, pp. 79-97.
- Sarale N., Dall’ateismo alla mistica. Clemente Rebora, Napoli 1981.
- Tuscano P. (a cura di), Clemente Rebora, l’ansia dell’eterno, Assisi 1993.
- Viola E., Strada M., Conversazioni su Clemente Rebora. Moraldo Strada intervista fratel Ezio Viola, Stresa 2020.
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