Giorgio Levi Della Vida
Venezia 1886-Roma 1967
Vita e opere
Nacque a Venezia nel 1886, in una famiglia di origine ebraica perfettamente assimilata dove venne educato «senza alcun indottrinamento confessionale». Forse il più autorevole orientalista italiano del Novecento, Levi Della Vida fu allievo del semitista Ignazio Guidi, e insegnò dapprima arabo a Napoli, poi lingue semitiche all'Università di Torino e dal 1920 ebraico e lingue semitiche dell'Università di Roma. Nei primi anni Venti svolse un’intensa attività di commentatore della politica italiana e internazionale dalle pagine del quotidiano romano «Il Paese» (vicino alle posizioni di Francesco Saverio Nitti) e poi su «La Stampa» di Torino, diretta dall’amico Luigi Salvatorelli: fu osservatore critico della genesi e dell’affermazione del fascismo, entrando anche in polemica diretta con Mussolini. Levi Della Vida sottoscrisse in seguito il Manifesto degli intellettuali antifascisti e si avvicinò per un breve periodo alle iniziative di Giovanni Amendola. Nel 1931 si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo imposto dal regime; fu quindi costretto a lasciare le proprie cariche accademiche, trovando un’alternativa nel lavoro presso la Biblioteca Vaticana, dove fino al 1939 si occupò dei manoscritti islamici e arabi qui conservati. Negli anni Trenta proseguì inoltre la collaborazione, iniziata nel 1927, con la Treccani diretta da Giovanni Gentile. A seguito della promulgazione delle leggi razziali, Levi Della Vida si spostò nel 1939 negli Stati Uniti, insegnando nell’Università della Pennsylvania. Nel dopoguerra, al suo ritorno definitivo in Italia riprese l’insegnamento a Roma, dove tenne, fino al 1956, la cattedra di storia e istituzioni musulmane. Negli anni Cinquanta sviluppò una significativa collaborazione giornalistica con il «Corriere della sera» diretto da Mario Missiroli. Nel 1966 uscì per l’editore Neri Pozza Fantasmi ritrovati, splendido libro di memorie nel quale Levi Della Vida tornava sui punti salienti della propria vicenda intellettuale tratteggiando al contempo i profili di tante figure dell’Italia del primo Novecento con cui entrò in contatto (L. Caetani, B. Croce, G. Gentile, G. Genocchi, G. Semeria, E. Buonaiuti). Morì a Roma nel 1967.
Il pensiero sulla religione
Ricordando la giovanile, appassionata lettura di «ogni sorta di libri che trattassero di religione e di storia delle religioni» (con particolare predilezione per le vite di Gesù del Barone d’Holbach, di D.F. Strauss e di E. Renan), Levi Della Vida precisava: «Mi perdonino i lettori se non sono capace di trattenermi dall’informarli che se da questa orgia di letture è nato in me l’interesse per gli studi di filologia semitica che sono poi diventati il mio mestiere, la scelta religiosa che esse avrebbero dovuto determinare non l’ho fatta mai; e se ho acquistato e mantenuto la capacità d’intendere simpaticamente il fenomeno religioso nella sua essenza e nelle sue varie manifestazioni e di sentire nella sua attualità quello che R. chiama il Sacro e altri il Numinoso (del che mi sento lieto e mi compiaccio), tuttavia rispetto alle singole confessioni ho fatto mio il famoso epigramma di Schiller: Quale religione professo? – Nessuna di quelle che tu mi citi. – E perché questo? – Per religione» (Fantasmi ritrovati, pp. 88-89).
Questi tormenti non furono dunque il presupposto per un ritorno alla fede dei padri o per un’adesione al cattolicesimo: essi rappresentarono la spinta originaria per taluni interessi storico/filologici (affrontare i testi religiosi in lingua originale) e per affinare una particolare sensibilità nella comprensione dei fenomeni religiosi senza per questo esserne personalmente coinvolto. Sarebbe un errore cercare uno sviluppo filosofico del problema religioso in uno scrittore che per sua stessa reiterata ammissione si sentiva estraneo a qualsivoglia attitudine speculativa. Da questa «piccola crisi privata» Levi Della Vida sviluppò più che altro una caratteristica attitudine che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita nell’avvicinarsi alla storia (le «varie manifestazioni») e al nucleo (l’«essenza») del fatto religioso, sensibilità accompagnata solo da una lieve malinconia nelle occasioni nelle quali si trovava di fronte a «un’aura di religiosità così intensa e così intima da far rimpiangere all’infedele presente di poter essere soltanto spettatore e non anche partecipe» (Fantasmi, p. 137). «Studioso aconfessionale» e «storico “razionalista”», Levi Della Vida non perse mai la «capacità di evocare lo spirito della fede altrui e di rivivere in sé, in uno stato d’animo non troppo dissimile dalla commozione estetica, ma di ben più intensa ineffabilità, l’impeto di intuizione immediata che lo accumuna, sia pure nella transitorietà dell’attimo fuggente, a coloro che credono» (Visita a Tamerlano, p. 157).
Il fattore religioso è qualcosa che si riscontra nella storia, e dunque acquista il proprio senso nel quadro generale dello storicismo di Levi Della Vida. Diffidente nei confronti di qualsiasi forma di filosofia della storia o di considerazione teleologica di essa, Levi della Vida si muoveva nelle linee di una storiografia essenzialmente laica. Il suo ideale che aveva come obiettivo quello di guardare ai fatti «colla serena disposizione d’animo dello storico» e facendo appello ad un «esame obiettivo dei fatti illuminato dal buon senso» (Scritti giornalistici, p. 475). Il riferimento alle matrici illuministiche e positivistiche della propria storiografia non giunge però mai fino ad accettare il riduzionismo caratteristico di talune frange tipiche di queste correnti. E sempre la preoccupazione di salvare l’elemento religioso, di non dialettizzarlo e annullarlo in una dimensione speculativa ritenuta superiore, distingue il suo storicismo da quello crociano e in generale idealistico. I fatti religiosi devono essere interpretati alla luce di questa concezione della storia come «totalità» e come «organismo complesso», animato da fattori eterogenei che non si annullano mai reciprocamente o in una dimensione comprensiva superiore, ma devono essere in qualche modo sempre rispettati. In questo contesto, la religione si presenta come una variabile irrazionale peculiare all’uomo che coincide con il bisogno di credere. Il fenomeno religioso sorge in una dimensione preculturale, precosciente, ancora non strutturata spiritualmente; e che si presenta con caratteristiche proprie. Si tratta di un dato non ulteriormente scomponibile o riconducibile a semplici fattori economici, politici, sociali, geografici: l’uomo è per sua natura «un “animale religioso”», «un animale credente» (Scritti giornalistici, p. 562; Aneddoti e svaghi arabi e non arabi, p. 340). La religione, anche se non è l’unica e privilegiata tra le cause storiche che accompagnano e determinano lo svolgersi della vita di una civiltà o di un popolo, riveste un ruolo così importante da poter talvolta rappresentare un lascito duraturo che una data civiltà o un dato popolo consegna all’umanità tutta. Su questa linea, Levi Della Vida può inoltre indicare l’origine delle grandi religioni storiche in un impulso sostanzialmente irrazionale, irriducibile, strettamente legato alla personalità del fondatore della religione. La particolare e originale intuizione del numinoso da parte di Gesù, per esempio, rimane un dato indeducibile; l’“essenza del cristianesimo” è tutta qui, sostanzialmente riconducibile alla «coscienza religiosa di Gesù» (Ebraismo e cristianesimo, p. 173).
D’altra parte, la religione non può avanzare la pretesa di riassorbire, annullare o anche solo di rendere marginali e secondari gli altri fattori culturali che animano una civiltà. La cautela che gli è connaturata spinge Levi Della Vida a sottolineare come essa non possa mai assurgere a peculiarità unica di una data cultura, rappresentandone sempre e comunque soltanto un fattore (per quanto importante) tra i tanti che caratterizzano e determinano i fatti della storia. Di qui il caratteristico atteggiamento critico nei confronti del concetto di “storia sacra”, che è importante rimarcare per le conseguenze che avrà durante il lavoro che Levi Della Vida svolse nella Treccani gentiliana; una collaborazione che portò lo studioso a condurre una battaglia storicamente significativa nell’Italia degli anni Trenta in nome della libera e laica ricerca storica, fronteggiando le continue ingerenze del padre Pietro Tacchi Venturi, l’«uomo di larga e solida dottrina e di idee non precisamente liberali» (Fantasmi ritrovati, p. 235) che dirigeva la sezione dedicata alle materie ecclesiastiche dell’Enciclopedia italiana.
Il cristianesimo rappresenta per Levi Della Vida il momento religioso più elevato, destinato a riassorbire quanto di significativo può esserci anche nelle altre religioni. Lo stesso ebraismo ha perduto la sua vitalità, e il suo significato spirituale si è risolto definitivamente nella religione di Gesù Cristo. Si può desumere dai suoi scritti la simpatia per una forma umanitaria, “liberale” del cristianesimo che Levi Della Vida troverà infine insediata – grazie al Concilio Vaticano II – anche nella confessione cattolica. Tra le confessioni cristiane, infatti, Levi Della Vida guarda sempre al cattolicesimo come a quella che può presentarsi come terreno fertile e passibile di un ulteriore progresso. In una prospettiva sostanzialmente affine a quella del movimento modernistico, anche Levi Della Vida sembra indicare nella riforma interna al cattolicesimo la vera possibilità che si offre alla religione nella seconda metà del XX secolo. Sul modernismo, Levi Della Vida torna nei Fantasmi ritrovati del 1966 di fatto riprendendo le fila di un discorso aperto a inizio secolo. Questo anche alla luce del ruolo profondamente diverso giocato dalla Chiesa, vista ormai distante dall’arcigna oppositrice di qualsiasi connubio con il secolo come negli anni della crisi modernistica. Anzi, renitente al progresso a inizio del Novecento, con «il santo Pontefice Giovanni» (Fantasmi ritrovati, p. 165) il cattolicesimo – avendo di fatto recepito ciò che di buono vi era nel modernismo – rientrava nella storia in una posizione preminente. La Chiesa di papa Roncalli aveva posto le basi per un dialogo non soltanto con le confessioni cristiane, ma anche con le altre religioni e con tutti quanti «gli uomini di buona volontà», quasi ponendosi nella prospettiva di una «unione superconfessionale» (Fantasmi ritrovati, p. 161).
In definitiva, secondo questo «religioso senza nulla religione, oppure religioso della religione (e di nessuna in particolare)» – così Eugenio Montale definì Levi Della Vida – non possiamo non dirci cristiani, e non potremo nemmeno non dirci tali in futuro: «È forse possibile immaginare una religione dell’avvenire che non s’intitoli più cattolica e nemmeno cristiana; ma cristiana essa sarà di fatto, giacché in essa sussisteranno, perché immortali, quei valori spirituali e quei momenti dinamici che hanno fatto trionfare il Cristianesimo delle religioni che lo hanno preceduto» (Fantasmi ritrovati, p. 166).
Giovanni Rota
Bibliografia
Opere principali
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Gli ebrei. Storia-religione-civiltà, ad uso delle scuole, con otto illustrazioni, Messina 1924.
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Storia e religione nell’Oriente semitico, Roma 1924.
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Aneddoti e svaghi arabi e non arabi, Napoli 1959.
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Fantasmi ritrovati, Venezia 1966 (seconda edizione a cura di Fulvio Tessitore e Maria Giulia Guzzo Amadasi,: Napoli 2004).
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Arabi ed Ebrei nella storia, a cura di Francesco Gabrieli e Fulvio Tessitore, Napoli 1984.
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Visita a Tamerlano, a cura di Maria Giulia Guzzo Amadasi e Franco Michelini-Tocci, Napoli 1988.
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Ebraismo e cristianesimo, nell’antologia Bilychnis. Una rivista tra fede e ragione (1921-1931), a cura di Antonio Mastantuoni, Torino 2012, pp. 171-177.
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Scritti giornalistici (1921-1922), a cura e con introduzione di Giovanni Rota; «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei», a. CDXI-2013, Classe di scienze Morali, Storiche e Filologiche, «Memorie», serie IX, vol. XXXIII, fasc. 3; Roma 2014
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G. Levi Della Vida, L. Salvatorelli, La pazienza della storia. Carteggio (1906-1966), a cura di Maurizio Martirano; «Atti della Accademia Nazionale dei Lincei», a. CDX-2013, Classe di scienze Morali, Storiche e Filologiche, «Memorie», serie IX, vol. XXXI, fasc. 3.
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Scritti sull’Islam, a cura di Tommaso Munari, Pisa 2019.
Scritti sull'autore
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AA.VV., Giorgio Levi Della Vida, discorsi commemorativi pronunciati dai Lincei Francesco Gabrieli, Sabatino Moscati, Alfredo Schiaffini, Luigi Salvatorelli nella Seduta a Classi riunite del 14 dicembre 1968; Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1969.
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Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno-Direzione Generale Pubblica Sicurezza-Divisione Polizia Politica. Busta 716, Fascicoli personali 1927-1944: Levi Della Vida Giorgio professore; Ministero della Pubblica Istruzione-Direzione generale istruzione universitaria-Fascicoli Professori Universitari-III serie (1940-1970)-Busta 268.
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Giorgio Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino 2001
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Cristiana Facchini, Orientalistica e ebraismo. Note culturali su David Castelli e Giorgio Levi della Vida, in Mario Mazza e Natale Spineto (a cura di), La storiografia storico-religiosa italiana tra la fine dell’800 e la seconda guerra mondiale, Alessandria 2014, pp. 111-139.
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Gerbi Sandro, Giuramento di fedeltà, in Dizionario del fascismo, a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto, vol. I, Torino 2002
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Goetz Helmut, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze 2000
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Martirano Maurizio, Sull’idea di «storia integrale» e «storia vivente» in Giorgio Levi Della Vida e Luigi Salvatorelli, «Historia magistra», XXIV (2017), pp. 60-72.
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Momigliano Arnaldo, Recensione dei Fantasmi ritrovati: «Rivista storica italiana», LXXVIII (1966), p. 740-742.
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Eugenio Montale, Fantasmi ritrovati, in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, tomo II, Milano 1996, pp. 2805-2809 (recensione pubblicata per la prima volta nel «Corriere della Sera», 1° luglio 1966).
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Montanelli Indro, Facce di bronzo (Incontri), vol. V, Milano 1955.
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Enrico I. Rambaldi Enrico I. e Giovanni Rota Giovanni (a cura di), Giorgio Levi Della Vida, Milano 2010.
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Rota Giovanni, «Un ebreo tra i modernisti». Il caso di Giorgio Levi Della Vida, in E.I. Rambaldi (a cura di), Intellettuali ebrei italiani del XX secolo, Milano 2018, pp. 69-105.
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Salvatorelli Luigi, Uomini, fatti, problemi dell’ultimo mezzo secolo, «La Stampa», 23 giugno 1966.
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Bruna Soravia, Levi Della Vida, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. LXIV, Roma 2005, pp. 807-811.
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Fulvio Tessitore, Storiografia e vita civile nel carteggio di Luigi Salvatorelli e Giorgio Levi Della Vida, in Id., Altri contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma 2007, pp. 253-282.
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Fulvio Tessitore, La tradizione storica e filosofica dello storicismo italiano, in Id., Ultimi contributi alla storia e alla teoria dello storicismo. II: La tradizione italiana, Roma 2010, pp. 77-160.