Tina Mirella Manferdini

San Venanzio di Galliera 1927 - Bologna 2005


Vita

Tina Mirella Manferdini nasce il 31 agosto 1927 a San Venanzio di Galliera in provincia di Bologna. Dopo aver conseguito la maturità classica nell’anno scolastico 1946-1947 al Liceo Luigi Galvani di Bologna, frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università di Bologna a partire dal 1947 dove si laurea nel 1951. In quel contesto segue il magistero di Teodorico Moretti-Costanzi, nominato docente ordinario di Filosofia Teoretica all’Università di Bologna nel 1952 e divenuto titolare effettivo di tale disciplina a partire dal 1953. Moretti-Costanzi diventa così il suo vero punto di riferimento presso quella Università. La pensatrice appartiene infatti alla cosiddetta “scuola neo-bonaventuriana bolognese” fondata proprio da Moretti-Costanzi di cui, insieme a Ivanhoe Tebaldeschi (poi ordinario di filosofia del diritto), è tra i primi assistenti titolari. Alla “scuola morettiana”, a questo singolare “Kreis” bolognese, apparterranno (anche se poi seguiranno strade diverse sul piano teorico e talora anche esistenziale) Enrico M. Forni (prematuramente scomparso), Enzo Melandri (specialista di fenomenologia), Emanuela Ghini (poi carmelitana scalza nel Carmelo di Savona), Gianfranco Morra (anche se proveniva dalla scuola di Felice Battaglia), Roberto Dionigi (acuto studioso di Nietzsche e Wittgenstein), Silvana Martignoni (studiosa raffinata di San Bonaventura), Luigi Bettazzi (poi vescovo di Ivrea), Alceo Pastore (appassionato studioso di Rosmini), nonché, di una leva ulteriore, Antonio Schiavo (studioso di Kant), Maurizio Malaguti (per molti anni, dal 1973 al 1985, assistente di Tina Manferdini) e Mario Micheletti (importante studioso della filosofia della religione in àmbito analitico).

Conseguita la libera docenza, ottiene l’incarico per un breve periodo di Storia della filosofia antica e poi, ininterrottamente, a partire dal 1959, quello di Filosofia della religione. Tina Manferdini è tra le prime titolari di questa cattedra in Italia dopo Alberto Caracciolo e Italo Mancini e comunque rimane in assoluto la prima donna filosofa della religione. Insegnerà tale disciplina a moltissimi studenti (ben più di un centinaio all’anno).

Nel 1980 Tina Manferdini vince il concorso per l’inquadramento nel ruolo dei professori ordinari dell’Università di Bologna. Il 21 febbraio 1995 lascia anticipatamente l’insegnamento universitario per malattia e si ritira vivendo tra Bologna e San Venanzio di Galliera insieme alla sorella Silvana. Gli ultimi anni della sua esistenza sono anni davvero difficili, di grande sofferenza fisica e intellettuale, vissuti in modo distante e separato dal mondo delle amicizie e dei rapporti anche famigliari. Scompare la mattina del 13 giugno 2005 ed è poi sepolta nella tomba di famiglia del cimitero di San Venanzio di Galliera.

 

Opere e pensiero filosofico-religioso

Sulla scia del maestro si occupa a più riprese del pensiero di Pantaleo Carabellese pubblicando su tale pensatore, nel 1954, la sua prima monografia Ontologismo critico e filosofie dell’esperienza concreta e intervenendo con il contributo Coscienza e storia nel pensiero di Pantaleo Carabellese alle “Giornate di studi carabellesiani”, che si erano tenute a Bologna nell’ottobre 1960.

Il pensiero di Tina Manferdini ha poi tre punti di riferimento decisivi della tradizione filosofica, tre vere e proprie “stelle polari” ovvero Agostino, Rosmini e San Bonavantura.

Su Agostino pubblicherà nel 1960 Unità del vero e pluralità delle menti in Sant’Agostino. Saggio sulle condizioni della comunicazione dove la profonda e vitale esigenza di comunicatività si esprime alla luce di una penetrante riflessione filosofica. L’approccio ermeneutico ad Agostino parte da un quesito di fondo ovvero se si possono trovare nel grande pensatore la soluzione a un problema così cruciale per la contemporaneità ovvero la comunicazione tra gli spiriti e il dialogo interpersonale. Interrogando opere come De magistro, De catechizandis rudibus e il De Trinitate, fermandosi come nodo cruciale sulla dottrina del “verbum mentis”, Manferdini – sulla scia di Agostino – individua due condizioni essenziali per la comunicazione: una “condizione oggettiva di possibilità” ovvero l’unità della verità (verità oggettiva, trascendente e assoluta) e una “condizione soggettiva di realtà” ovvero il possesso certo del vero.

Si occuperà poi ampiamente dell’estetica agostiniana con due monografie: L’estetica in S.Agostino del 1966 e L’estetica religiosa in S. Agostino del 1969. In tali due testi risulta interessante la prospettiva estetica, che traspare nell’analisi del pensiero agostiniano in cui convergono due diverse tradizioni: quella che si può riassumere come neoplatonica e quella giudaico-cristiana. In Agostino entrambe le tradizioni di pensiero sono presenti non nel senso di una statica ed estrinseca composizione ma in quello di una loro dialettica tensione, che domina il pensiero agostiniano. Solo alla fine in Agostino diverrà dominante la “sapienza” in accezione giudaico-cristiana. Per Manferdini sembra però che a prevalere e permanere nell’estetica agostiniana sia soprattutto l’impronta neoplatonica. Ciò è avvalorato da una svalutazione dei sensi e da una loro riduzione alla razionalità. Un’intellettualizzazione di fatto della percezione estetica in cui il momento della sensibilità non è considerato come essenziale e intrinseco ma come accessorio e meramente strumentale. Così l’ascesi alla contemplazione del bello si configura come deliberata astrazione dalla sensibilità: un’“ascesi puramente razionale” e in tal senso molto problematica.

Di particolare interesse sarà anche il corposo saggio su Il problema del corpo e del sentire nel pensiero di S.Agostino presentato al Congresso internazionale di Bari del 1986. Una sorta di sintesi del suo approccio ad Agostino, che riprende in forma rivista i contributi precedenti, è costituito da quello che sarà il suo ultimo lavoro pubblicato ovvero la monografia Comunicazione ed estetica in Sant’Agostino del 1995.

La seconda stella polare, per Tina Manfedini, è Antonio Rosmini. Sul Roveretano pubblica nel 1965 la monografia Essere e verità in Rosmini a cui seguiranno, nel 1979, tre diversi saggi. Il primo, Sapienza e cognizione di Dio in S. Bonaventura e Rosmini, relaziona Rosmini a Bonaventura sul tema sapienziale. Il secondo, A proposito dell’ascetica rosminiana, è un contributo alla comprensione dell’autentico significato dell’ascetica rosminiana. Infine, il terzo saggio ha come oggetto il tema del corpo nel Roveretano: Corporeità e sentimento fondamentale in Rosmini. Il tema del corpo già analizzato in Agostino torna anche con Rosmini. Nel 1979 pubblicherà un ampio saggio su Rosmini filosofo della religione. Nel 1991 ritornerà con un contributo sull’ascetica rosminiana: Teologia e ascesi in Antonio Rosmini. Con Il riconoscimento dell’essere nell’etica e nella politica di Rosmini, uscito a stampa nel 1991, affronta la filosofia pratica e sociale del Roveretano. Nel 1994 pubblica l’edizione riveduta e ampliata di Essere e verità in Rosmini. Per Manferdini essere e verità sono i due termini sui quali il filosofo di Rovereto organizza la sua ontologia della conoscenza. Per la pensatrice bolognese i criteri interpretativi che si adottano nella considerazione del pensiero di Rosmini si possono classificare in due fondamentali tendenze: la prima considera Rosmini essenzialmente come un filosofo del conoscere, l’altra lo considera invece soprattutto come un filosofo dell’essere, teorizzatore di una dottrina ontologica in cui la gnoseologia si inserisce come una specificazione interna e subordinata al disegno generale. Il criterio interpretativo da adottare per il Roveretano è – ad avviso di Manferdini – il secondo poiché a Rosmini va attribuito il merito di aver tracciato l’ampio disegno di quella che (per quanto incompiuta) potrebbe dirsi l’ontologia concreta e integrale. La pensatrice bolognese vede nella virtualità e nell’inizialità dell’essere l’articolazione teoretica che permette a Rosmini di giungere a una feconda “indeterminazione positiva” dell’essere, che acquista poi significato nella dialettica di “esplicitazione dell’implicito” resa possibile dal ripiegamento della riflessione sull’intuito. Utilizzando il pensiero del maestro Moretti-Costanzi la pensatrice qualifica questa “positiva indeterminatezza” in Rosmini come l’indeterminatezza della luce, che non essendo una cosa tra le cose, si rivela in esse “come la loro fondamentalità entificante e qualificante”.

La terza stella polare, frutto del magistero di Moretti-Costanzi e della sua appartenenza alla scuola neo-bonaventuriana bolognese, è appunto San Bonaventura da Bagnoregio. Il primo contributo del 1971 è dedicato a L’esemplarismo in san Bonaventura. Seguiranno, nel 1974, un saggio su S. Bonaventura filosofo del linguaggio e, nel 1976, un contributo dedicato a La ragione teologica in San Bonaventura. Il saggio indubbiamente più importante è quello del 1980 dedicato a La problematica della religione nel pensiero di San Bonaventura.

Partendo dai suoi tre grandi maestri, Manferdini filosofa della religione propone con ardimento teorico le sue incursioni nella contemporaneità cercando sempre di illuminare la dialettica tra religione come fenomeno universalmente umano e la fede cristiana.

Avremo così, nel 1960, l’importante e originale monografia Studi sul pensiero americano. In quest’opera i pensatori scelti sono letti e identificati secondo un preciso filone ontologico. L’analisi riguarda in particolare i testi di filosofia della religione di Jonathan Edwards autore di Treatise concerning religious affections e di altre importanti opere religionistiche, Josiah Royce autore di The Problem of Christianity, William James autore di The Varieties of Religious Experience. A Study in Human Nature, William Ernest Hocking autore di The meaning of God in human experience, Wilbur Marshall Urban autore di The Church and the Modern World. The New Erastianism per concludere con Ralph Waldo Emerson autore di diversi saggi di interesse religioso. Ne risulterà un affresco di singolare interesse che segnala la costruzione sempre più consapevole in Manferdini del suo profilo di autentica filosofa della religione.

In questa stessa direzione si innesta la sua ricerca dedicata a Dewey che sfocerà, nel 1963, nella monografia L’Io e l’esperienza religiosa in John Dewey, anticipata da un breve saggio sullo stesso filosofo apparso già nel 1954. Manferdini vi si accosta con approccio critico rilevando i limiti di un approccio empirista per un’interpretazione filosofica adeguata dell’esperienza religiosa. Se la religione è una forma di coscienza e un tipo di sapere che implica un’originaria determinazione personale ed esige un genere di cognizione partecipativa ed esistenziale al suo Oggetto intrinseco, un approccio al fenomeno religioso come quello di Dewey risulta non proporzionato e inadeguato in virtù del suo essere una constatazione empiristica neutra e impersonale. Per la pensatrice bolognese, al contrario di quanto afferma Dewey, “in concreto” non esiste la religione in generale né esistono particolari religioni tra le quali si possa scegliere, ma vi è sempre e soltanto la “religione” in cui si è impegnati con la totalità del proprio essere. Nel tentativo di neutralizzare scientificamente la religione Dewey finisce con il non poter più trovare di fatto qualcosa che spieghi veramente il fatto religioso e l’esperienza religiosa diventa un’esperienza del tutto simile alle altre. Ciò che Dewey qualifica con il termine “religiosità” è – per Manferdini – essenzialmente estraneo alla natura del fatto religioso. L’equivoco nasce dalla stessa impostazione della tesi di Dewey che tende all’emancipazione della “religiosità” dalla religione. Ogni progetto di “riduzione” in tal direzione non potrà che rivelarsi ambiguo. Senza un intrinseco riferimento al suo oggetto costitutivo, l’atto della coscienza e dell’esperienza religiosa non può sussistere e non si spiega perché è dall’Oggetto che trae la sua forma e la sua specifica determinazione. È in ultima analisi impossibile, per Manferdini, definire la “religiosità” senza un riferimento, esplicito o implicito, al contenuto oggettivo o intenzionale della coscienza religiosa. Il discorso di Dewey è dunque, per la pensatrice bolognese, pregiudicato in partenza dall’astrattezza della sua impostazione programmatica.

Un approccio più sintonico e meno critico è rivolto da Tina Manferdini a Paul Tillich di cui si occupa nella monografia del 1977 La filosofia della religione in Paul Tillich e anche in un breve saggio del 1992 Prospettive sul pensiero di Paul Tillich. Si può in certo qual modo dire che Tillich insieme a Romano Guardini rappresenta, per la pensatrice, il paradigma più efficace nell’àmbito della filosofa della religione del Novecento. La monografia dedicata a Tillich intende mettere in evidenza il problema della responsabilità razionale di fronte alla novità della Rivelazione così come è sviluppata in tale pensatore. Manferdini in particolare intende cogliere come è proposto in Tillich, soprattutto a partire dalle opere tedesche, il rapporto tra filosofia e teologia e tra religione e Rivelazione. Il tutto a partire da un celebre passaggio di Tillich: “Teologia filosofica è il nome dell’insolita cattedra che io qui rappresento: è un’espressione che mi si adatta meglio di qualunque altra visto che la linea di confine fra filosofia e teologia è il centro del mio pensiero e il fulcro della mia opera”. Separate l’una dall’altra filosofia e teologia inesorabilmente si impoveriscono e si deformano. Tillich, ricostruisce Manferdini, senza mai confonderle le vede nel loro essere reciprocamente protese l’una verso l’altra. Senza la Rivelazione la filosofia non potrebbe raggiungere la conoscenza dell’Assoluto, ma senza la filosofia la Rivelazione non potrebbe produrre un’adeguata trasformazione dell’uomo. L’appassionante ricerca di Tillich sul rapporto tra filosofia e teologia si volge poi alla considerazione del rapporto generale tra teologia e cultura. Di fronte al grande tentativo della cultura di realizzarsi compiutamente nel senso illuministico di piena e totale autonomia appare vano e stolto a Tillich reagire riproponendo, in sede di cultura religiosa, l’eteronomia ovvero tornare alla pretesa di poter fissare alcune formule quali definitive portatrici del senso della civiltà. Come annota acutamente Manferdini, Tillich ravvisa il superamento delle due opposte e diversamente impossibili soluzioni nella teonomia, che non è affatto il giusto mezzo tra gli opposti ma qualcosa di veramente e sostanzialmente nuovo. Essa nasce dalla realtà di autentica trasformazione che la Rivelazione produce nell’intelligenza di colui che l’accoglie. In tal modo Tillich supera la contrapposizione radicale tra religione e fede di Karl Barth. Tillich – sottolinea Manferdini – ammette che la religione sia uno sforzo ancora umano per raggiungere l’Assoluto e che, come tale, sia destinata al fallimento. La sua è una posizione di relativizzazione (non di negazione) della religione, che si trova in una triangolarità verticale, il cui vertice è costituito dalla Rivelazione (la parola della Croce), mentre ai due angoli di base stanno la religione e la cultura in rapporto di tensione polare tra di loro, ma relativizzate e sottoposte entrambe alla critica purificatrice e alla normatività della Rivelazione. Guardini perverrà a risultati non troppo dissimili anche se in lui agisce non la posizione di Barth ma il potente fermento determinato dall’incontro con il pensiero di Kierkegaard.

E quindi in evidente sintonia con le ricerche su Tillich, si collocano nel percorso di Tina Manferdini quelle su Romano Guardini a cui dedicherà due ampi saggi ma su cui terrà molti corsi all’Università di Bologna e sarà tra i primi, in assoluto, a introdurre Guardini nei corsi universitari statali. Il primo, del 1976, è dedicato a Il rapporto uomo-natura in Romano Guardini, mentre il secondo è il frutto del suo importante intervento del 1985 tenuto al convegno internazionale di Trento per il primo centenario della nascita del pensatore italo-tedesco (Katholische Weltanschauung. Religione e fede in Romano Guardini). Manferdini illustra il rapporto dialettico in Guardini tra religione e fede còlte come due grandezze di ordine diverso ma non antitetiche secondo la logica dell’“opposizione polare (Gegensatz)”. E, con assoluto tratto originale, mostra come questa posizione guardiniana sia stata alimentata dal suo incontro giovanile con Bonaventura.

L’ultima importante opera è del 1983 ed è dedicata a Karl Barth e alla sua controparte dialettica ovvero Schleiermacher (Il problema della religione. Barth e Schleiermacher). Nell’opera Manferdini illumina la posizione di Barth e la sua nota svalutazione oltre che negazione teologica della religione da lui proclamata nella celebre Epistola ai Romani (anche in termini non privi di complessità e di qualche ambiguità) ed energicamente ribadita in una condanna senza possibilità di appello nel paragrafo 17 della sua grande Dogmatica ecclesiale. Obiettivo polemico di Barth è Schleiermacher e il suo “religionismo”. Con questo termine Barth allude al fatto che Schleiermacher parte da un concetto assai riduttivo di religione e, poggiando su questa fragile e problematica base, pretenderebbe di arrivare alla Rivelazione cristiana. Barth lo accusa di essere il padre e il generatore di quel modernismo neo-protestante che, con il protestantesimo liberale, tocca il fondo dell’aberrazione teologica, producendo a suo dire lo sfaldamento della sana e normativa oggettività dogmatica della Rivelazione. Schleiermacher sarebbe quel pensatore che, per rendere accettabile innanzitutto la “religione” (si noti bene non il Cristianesimo) – annota Manferdini – ai suoi contemporanei colti che la disprezzano scrive quei Discorsi sulla religione in cui il nome di Cristo non compare neppure una volta. Schleiermacher parte dall’uomo e, per una serie di frecce unidirezionali, passa alla religione e da qui cerca poi un difficile accesso alla fede per finalmente arrivare a Dio, il Dio di Gesù Cristo. Percorso che è faticosamente tracciato ne La Dottrina della fede in cui comunque la cristologia trova posto a fatica e vi appare comunque “come una grande perturbazione” per usare le parole caustiche di Barth. Ciò, sottolinea Manferdini, è ovvio e difficilmente contestabile: a Cristo non si arriva né si può arrivare partendo dall’esperienza religiosa, dall’homo religiosus. Si deve piuttosto partire da Cristo e, in linea discendente, incontrare la fede e la sua corrispondente umana e intramondana, vale a dire la religione il cui nesso con la fede rimane sempre problematico. Procedendo in senso contrario, sostiene Barth, ci si accorge che l’homo religiosus, la religione in quanto tale non sono in una linea ascendente di continuità con la Rivelazione cristiana accolta nella fede, ma rispetto ad essa costituiscono una radicale antitesi. Manferdini apprezza molto la posizione di Barth, ne accoglie l’importante distinzione tra fede e religione, ma sposa piuttosto la più equilibrata posizione di Romano Guardini che distingue certo le due dimensioni ma le pone purtuttavia in vitale correlazione.

La cifra teoretica di questa importante pensatrice della religione è nel suo sforzo inesausto di dipanare il rapporto tra la religione e la fede. E questo avviene sia con i pensatori contemporanei come Dewey, Tillich, Barth o Guardini sia con i tre grandi classici con cui si è confrontata ovvero Agostino, Bonaventura e Rosmini. Il rapporto con il maestro Moretti-Costanzi verrà invece progressivamente meno anche se lei si riconoscerà per sempre debitrice e riconoscente per il suo magistero.

Il suo percorso di pensiero verrà mantenuto vivo e portato avanti presso l’Università di Bologna dal suo assistente e poi successore sulla stessa cattedra di Filosofia della religione Maurizio Malaguti (1942-2018), studioso della grande metafisica medievale e di Dante, e dai suoi diretti allievi Silvano Zucal (1956, laureatosi con Manferdini con una tesi sulla teologia della morte in Karl Rahner) e ora titolare della cattedra di Filosofia della religione all’Università di Trento e Michele Nicoletti (1956, laureatosi con una tesi sul tema dell’incarnazione nel pensiero di Kierkegaard), docente di Filosofia politica prima a Padova e poi a Trento ma attento ai temi della filosofia della religione avendo promosso i seminari sul rapporto tra religione e politica e l’annuario “Religione e politica”.

Silvano Zucal  (ha collaborato per la sezione biografica Maria Angela Tartarini)

 


 

Biblio-sitografia

 

Opere principali

  • Ontologismo critico e filosofie dell’esperienza concreta, Historica, Reggio Calabria 1954.

  • Storicismo, sociologismo e naturalismo nel pensiero del Dewey, in AA. VV., Filosofia e sociologia, Il Mulino, Bologna 1954, pp. 221-229.

  • Unità del vero e pluralità delle menti in Sant’Agostino. Saggio sulle condizioni della comunicazione, Ed. STEB, Bologna 1960.

  • Studi sul pensiero americano, Edizioni Alfa, Bologna 1960.

  • L’Io e l’esperienza religiosa in John Dewey, Zanichelli, Bologna 1963.

  • Coscienza e storia nel pensiero di Pantaleo Carabellese, in «Atti del Convegno. Giornate di studi carabellesiani», convegno tenuto presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Bologna nell’ottobre 1960», Silva, Milano-Genova 1964, pp. 247-263.

  • Essere e verità in Rosmini, Edizioni Alfa, Bologna 1965.

  • L’estetica in S.Agostino, Arti Grafiche Tamari, Bologna 1966.

  • L’estetica religiosa in S. Agostino, Zanichelli, Bologna 1969.

  • L’esemplarismo in san Bonaventura, in Le scienze sacre in S. Bonaventura. Atti dell’XI° Incontro al Cenacolo Bonaventuriano dell’Oasi Maria Immacolata di Montecalvo Irpino (28-30 settembre 1970), n.7, Ed. Oasi Maria Immacolata, Montecalvo Irpino (Avellino) 1971, pp.1-40.

  • Polarità semantica nel discorso sulla morte di Dio, Estratto dalla rivista «Sacra Doctrina», Quaderno n. 67 (1972), Bologna 1972, pp. 345-382.

  • S. Bonaventura filosofo del linguaggio, in Romano Almagno-Jacques Guy Bougerol (a cura di), S. Bonaventura 1274-1974, vol. III, Collegio S. Bonaventura, Grottaferrata (Roma) 1974, pp. 505-534.

  • Il rapporto uomo-natura in Romano Guardini, Estratto dalla rivista «Sacra Doctrina», Quaderno n. 80 (1976), Bologna 1976, pp. 83-132.

  • La ragione teologica in San Bonaventura, in Alfonso Pompei (a cura di), San Bonaventura maestro di vita francescana e di sapienza cristiana, ed. Pontificia Facoltà Teologia “San Bonaventura”, Roma 1976, pp. 535-552.

  • La filosofia della religione in Paul Tillich, Edizioni Dehoniane, Bologna 1977.

  • Riflessioni sul tema: “libertà e liberazione”, in «Sacra Doctrina», n. 83 (1977), pp.149–162.

  • A proposito di “cristianesimo e ideologia”, in «Sacra Doctrina», n. 87 (1978), pp. 301–311.

  • Sapienza e cognizione di Dio in S. Bonaventura e Rosmini, in «Rivista rosminiana di filosofia e di cultura», n.s., XII (1979), pp. 1– 24.

  • A proposito dell’ascetica rosminiana, in «Sacra Doctrina», n. 90 (1979), pp. 283–288.

  • Corporeità e sentimento fondamentale in Rosmini, in AA.VV., Il corpo, perché? Saggi sulla struttura corporea della persona umana. Contributi del XXXIII Convegno del Centro di studi filosofici di Gallarate (30 marzo-1aprile 1978), Morcelliana, Brescia 1979, pp. 220–236.

  • La problematica della religione nel pensiero di San Bonaventura, in AA.VV, Atti del XXVII Convegno organizzato dal Centro di Studi bonaventuriani di Bagnoregio, Editore Centro di Studi bonaventuriani, Bagnoregio 1980, pp. 21-50.

  • L’uomo e il suo destino: profili di antropologia cristiana, in Atti del seminario del seminario tenuto dall’Istituto “Carlo Tincani” per la ricerca scientifica e la diffusione della cultura, Barghigiani, Bologna 1982.

  • Teodorico Moretti-Costanzi, voce in Enciclopedia filosofica, 2 edizione riveduta e aggiornata, edita dal Centro Studi di Gallarate, Sansoni, Firenze 1982.

  • Il problema della religione. Barth e Schleiermacher, CLUEB, Bologna 1984.

  • Il problema del corpo e del sentire nel pensiero di S.Agostino, in AA. VV., L’umanesimo di Sant’ Agostino, Atti del Congresso internazionale (Bari 28-30 ottobre 1986), a cura di Matteo Fabris, Levante Editori, Bari 1988, pp. 285-308.

  • Katholische Weltanschauung. Religione e fede in Romano Guardini, in Silvano Zucal (a cura di), La Weltanschauung cristiana di Romano Guardini, Bologna 1988, pp. 257– 352.

  • Rosmini filosofo della religione, in Atti del Congresso internazionale: Rosmini pensatore europeo (Roma 26-29 ottobre 1988), a cura di Maria Adelaide Raschini, Jaca Book, Milano 1989, pp. 255-283.

  • Teologia e ascesi in Antonio Rosmini, in Giuseppe Beschin (a cura di), Filosofia e ascesi nel pensiero di Antonio Rosmini, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 197-266.

  • Il riconoscimento dell’essere nell’etica e nella politica di Rosmini, in AA. VV., Rosmini: Etica e politica. Filosofia pratica o filosofia della pratica?, Atti del XXIV Corso della «Cattedra Rosmini» (Stresa, 29 Agosto - 2 Settembre 1990), a cura di Peppino Pellegrino, Sodalitas-Spes, Stresa-Milazzo 1991, pp. 109-132.

  • Prospettive sul pensiero di Paul Tillich, in AA. VV., Azione e contemplazione. Studi in onore di Ubaldo Pellegrino, IPL-Istituto Propaganda Libraria, Milano1992, pp. 273 –289.

  • Essere e verità in Rosmini, II ed. riveduta e ampliata, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1994.

  • Comunicazione ed estetica in Sant’Agostino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1995.

  • Dimensioni dell’esperienza e pluralità dei linguaggi, in AA.VV., Il problema della conoscenza storica. Arte e linguaggio, Bologna s.d., pp. 383-386.

 

Scritti sull’autrice e il suo pensiero religioso

  • Gilli Annalisa, recensione de Il problema della religione. Barth e Schleiermacher, in «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», I (1987), pp. 119-126.

  • Grassi Joseph G., recensione de Studi sul pensiero americano, in «Philosophy and Phenomenological Research», 23, n. 4 (1963), pp. 624-625.

  • Gratti C.V., recensione de Essere e verità in Rosmini, «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», II (1995), pp. 207-208.

  • Kalem Hrvoje, La correlazione tra Vangelo, cultura e persona umana nella riflessione di Paul Tillich e Karol Wojtila per un Cristianesimo rilevante oggi, Dissertazione Pontificia Università Gregoriana, Roma 2017.

  • Magnani Giovanni, Filosofia della religione, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1993.

  • Malaguti Maurizio, recensione de La filosofia della religione in Paul Tillich, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», vol. 69, n. 4 (ottobre-dicembre 1977), pp. 766-769.

  • Manzano Isidoro, recensione de La filosofia della religione in Paul Tillich, in «Antonianum» 53/3-4 (1978), pp. 647-648.

  • Quarello Laura, recensione de Essere e verità in Rosmini, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», vol. 59, n. 3 (maggio-giugno 1967), pp. 407-411.

  • Recensione redazionale de Essere e verità in Rosmini, in «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», I (1967), pp. 77-80.

  • Recensione redazionale de Unità del vero e pluralità delle menti in S. Agostino. Saggio sulle condizioni della comunicazione, in «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», IV (1962), pp. 395-399.

  • Sartori Silvana, recensione de Essere e verità in Rosmini, in «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», III (2001), pp. 303-306.

  • Sartori Silvana, recensione de Comunicazione ed estetica in Sant’Agostino, in «Rivista rosminiana di filosofia e cultura», IV (2002), pp. 507-509.

  • Steenberghen Fernand van, recensione de Unità del vero e pluralità delle menti in S. Agostino. Saggio sulle condizioni della comunicazione, in «Revue Philosophique de Louvain», 92 (1968), pp. 730-731.

  • Waller Giorgio, recensione de Il problema della religione. Barth e Schleiermacher, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 79 (1987), pp. 502-505.

  • Zucal Silvano, introduzione a Id. (a cura di), La Weltanschauung cristiana di Romano Guardini, EDB, Bologna 1988, pp. 13-41.