Ernesto De Martino
Napoli 1908 – Roma 1965
Vita e opere
Ernesto De Martino è stato uno storico delle religioni ed etnologo. Dopo essersi laureato nel 1932 sotto la guida di A. Omodeo e aver stretto amicizia con R. Pettazzoni (che gli permetterà di pubblicare alcuni articoli su “Studi e Materiali di Storia delle Religioni”), De Martino si avvicina al pensiero di B. Croce, del quale fece proprio l’approccio storicista. Esito di questo incontro è il saggio Naturalismo e storicismo nell’etnologia (1941), ove il giovane studioso napoletano si esercita nella critica delle principali scuole etnologiche. Il rapporto con la filosofia crociana durante gli anni Quaranta si complica, anche in forza dello studio di una letteratura piuttosto eterogenea che spazia dalla etnologia alla psicologia, dall’esistenzialismo al marxismo. Nel 1948 pubblica Il mondo magico, testo nel quale si allontana dal crocianesimo ortodosso ed espone per la prima volta le nozioni, centrali nella sua opera, di “presenza” e “crisi della presenza”. Dopo una militanza tra le forze socialiste iniziata nel 1945, nel 1950 aderisce al Partito Comunista Italiano. L’interesse per le condizioni materiali ed esistenziali dei contadini del Sud, nonché la lettura di Gramsci e di Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi, sollecitano De Martino a compiere delle spedizioni etnologiche nel Mezzogiorno. Risultato di questo lavoro sul campo, che si concentra sulla dimensione magico-religiosa di questo particolare “mondo popolare subalterno”, è la cosiddetta “trilogia meridionalistica” composta da Morte e pianto rituale (1958), Sud e magia (1959) e La terra del rimorso (1961). Nel 1959 diventa professore di ruolo di Storia delle Religioni presso l’Università di Cagliari. In questo periodo i suoi interessi si concentrano sul tema delle “apocalissi culturali” e dei “miti escatologici”, letti sia entro una prospettiva religiosa (in particolare quella cristiana) che laica (l’escatologia marxiana). Questi studi comprendono anche il problema relativo all’incapacità di elaborare modelli culturali efficaci nel far fronte all’angoscia della storia e nell’indicare un senso che trascenda il carattere precario dell’esistenza umana (ampio, a tal proposito, è il ricorso alla letteratura psicopatologica e filosofica e altresì alle opere di narrativa a lui contemporanee che testimoniano la crisi del significato maturata nel Novecento). Tale lavoro avrebbe dovuto condensarsi in un saggio intitolato La fine del mondo, che tuttavia uscì incompiuto e postumo nel 1977. De Martino muore a Roma il 9 maggio 1965.
Il pensiero filosofico-religioso
La produzione giovanile di De Martino pone al proprio centro il rapporto tra uomo e divino, analizzandone gli aspetti più conflittuali e violenti. Nel 1933 lo studioso napoletano pubblica su “La Nuova Italia” un breve estratto della propria tesi di laurea, la quale aveva per oggetto i Gephyrismi Eleusini (ovvero alcune scritte blasfeme impresse sul ponte sul fiume Cefiso utilizzato dai pellegrini che da Atene si recavano a Eleusi). In polemica con Rudolf Otto e l’idea di “sentimento creaturale”, De Martino individua tutta una serie di atteggiamenti disciplinati culturalmente che entrano in aperto conflitto con la divinità (per cui questa diventa oggetto di ingiurie e bestemmie, nonché di percosse, e così via). Nel 1938, in un articolo intitolato Ira deorum, pubblicato sulla rivista “Religio”, De Martino arriverà a contrapporre all’ira del dio (che suscita nell’uomo un atteggiamento creaturale di sottomissione) un’ira hominum, ossia un’ira tutta umana che testimonia la resistenza all’azione perturbante del sacro.
In Naturalismo e storicismo nell’etnologia (1941), la critica a Otto si fa più aspra: a questi viene rimproverato un eccessivo irrazionalismo, e alla sua interpretazione del fenomeno religioso viene contrapposta una “religione mazziniana” orientata verso la storia e la civiltà umane. L’influenza di Croce, in questo caso, è decisiva: sia per quanto riguarda il concetto di “religione della libertà”, sia per la tesi secondo cui la religione, entro la sfera teoretica, non è altro che una philosophia inferior, ossia un modo fantastico e impuro di pensare la realtà. Nel corso degli anni Quaranta, tuttavia, De Martino si distaccherà da una simile valutazione, approdando a una vera e propria riforma della dialettica crociana che riguarda in particolare il giudizio sulla religione.
Nel 1948 esce Il mondo magico. In questo saggio si afferma che la presenza, intesa come una unità psichica ed esistenziale, è mossa da una “volontà di esserci contro il rischio di non esserci”. Il problema fondamentale dell’essere umano consiste nel difendere tale unità, in quanto essa è strutturalmente labile ed esposta alla possibilità di disgregarsi, nella misura in cui determinati eventi la mettono in crisi. La magia (ma altresì la religione, la quale, secondo De Martino non differisce qualitativamente dalla magia) si rivela in tal senso uno strumento che permette di proteggere la presenza e, dunque, di stornare il “rischio di non esserci”.
A partire da questo momento, De Martino ricondurrà il fenomeno religioso non già (come faceva Croce) alla sfera del pensiero, bensì alla sfera pratica e, in particolare, alla forma crociana dell’utile (forma che regola la prassi tecnico-scientifica necessaria al controllo e al dominio del mondo, e che per questo motivo è, a detta di Croce, estranea al “sacro”). In particolare, entro l’interpretazione demartiniana, la religione risulta essere una “tecnica mitico-rituale” utile a proteggere la presenza dai momenti critici dell’esistenza e a controllare le forze vitali e le violente passioni che possono metterla sotto scacco.
Facendo propria la terminologia esistenzialista (in un primo momento attraverso le letture di Abbagnano, Paci e Pareyson), De Martino affermerà che l’esserci è un “doverci essere” e questo “compito” si può realizzare solo attraverso un intervento culturale che pone il singolo entro lo spazio protettivo della comunità. L’autenticità esistenziale, pertanto, si conquista innanzitutto attraverso una mediazione con quella esistenza pubblica, fatta di tradizioni e pratiche condivise, che Heidegger giudicava “inautentica”. Se si considera, ad esempio, il caso dei riti funebri (analizzati in Morte e pianto rituale), si può osservare come tali riti comportino certamente un atteggiamento conformistico (una sorta di anonimo “così si piange”), e tuttavia questo consegnarsi al “Man” permette alla presenza in lutto di rimanere comunque presente, in luogo di perdersi nella disperazione e disperdersi nell’angoscia e nella follia.
Una simile interpretazione del fenomeno religioso porterà De Martino a confrontarsi in modo critico con il marxismo e, nello specifico, con la nozione marxiana di “alienazione religiosa”. A tal proposito, se è vero, in accordo con Marx, che la religione istituisce un piano alienato (metastorico) che separa la persona dalla realtà, è pur vero, osserva De Martino, che questa alienazione istituzionale (o “destorificazione controllata”) offre una protezione che salva da quella ben più grave e radicale forma di alienazione che è la crisi della presenza. La destorificazione religiosa del negativo rappresenta quindi un Umweg, una via indiretta, ma necessaria, lungo il cammino dell’umanità.
Le ultime riflessioni demartiniane, pubblicate postume nella raccolta La fine del mondo (1977), si concentrano su questo cammino e in particolare sulla possibilità, da parte dell’Occidente, di fare a meno della religione. Confrontandosi con autori come Bultmann, Cullmann e Goguel, De Martino riconosce, da un lato, che il Cristianesimo ha avuto una parte fondamentale entro il processo di formazione della civiltà occidentale; e tuttavia, dall’altro lato, registra anche la fine del suo ruolo quale operatore di senso. Posto che l’epoca in cui viviamo è stata dischiusa dalla cosiddetta “morte di Dio”, l’Occidente è chiamato a realizzare una storia umana senza fare ricorso alla mediazione religiosa. Non potendo più riprendere quel Umweg che si è lasciato alle spalle, perché riprenderlo sarebbe un atto di “malafede”, oggi l’Occidente deve dare prova del proprio umanesimo e del proprio ethos, e difendere e rinnovare il proprio sistema di valori (che pure il Cristianesimo ha contribuito a istituire), contro il rischio sempre incombente della sua fine.
Sergio Fabio Berardini
Biblio-sitografia
Opere principali:
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Naturalismo e storicismo nell’etnologia (1941), a cura di S. De Matteis, Argo, Lecce 1997
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Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo (1948), Bollati Boringhieri, Torino 1973
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Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (1958), Bollati Boringhieri, Torino 1975
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Sud e magia (1959), a cura di F. Dei e A. Fanelli, Donzelli, Roma 2015
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La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud (1961), Il Saggiatore, Milano 2015
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Furore Simbolo Valore (1962), a cura di M. Massenzio, Feltrinelli, Milano 1980
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La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali (1977), a cura di C. Gallini, Einaudi, Torino 2002
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Scritti minori su religione, marxismo e psicanalisi, a cura di R. Altamura e P. Ferretti, Nuove Edizioni Romane, Roma 1993
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Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro, a cura di M. Massenzio, Argo, Lecce 1995
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Scritti filosofici, a cura di R. Pàstina, Il Mulino, Bologna 2005
Scritti sull’autore e il suo pensiero religioso
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Angelini P., Ernesto De Martino, Carocci editore, Roma 2008
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Berardini S.F., Ethos Presenza Storia. La ricerca filosofica di Ernesto De Martino, Editrice Università degli Studi di Trento, Trento 2013
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Berardini S.F., Sulla vitalità e l’utile. Ernesto De Martino e la riforma della dialettica crociana, in «Paradigmi», 31, 2013/2, pp. 35-50
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Berardini S.F., Presenza e negazione. Ernesto De Martino tra filosofia, storia e religione, ETS, Pisa 2015
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Cherchi P., Il cerchio e l’ellisse. Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche risolventi dell’«autocritica», Aìsara, Cagliari 2010
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